martedì, giugno 23, 2009

Imparare a fotografare.

Parecchi di noi, intendo coloro che sono nati prima degli anni Ottanta, ricordano certamente uno dei due genitori, spesso il papà, alle prese con un apparecchio fotografico. Immaginate di essere stati dei loro coetanei e di aver potuto annunciare loro la trasformazione in futuro del vecchio telefono con la presa al muro in un oggetto che avrebbe funzionato senza fili. Probabilmente sarebbero stati disposti a crederlo. Ma pensate a che faccia stupita avrebbero avuto se aveste detto loro che quello stesso telefono sarebbe entrato comodamente in una tasca, che la sua batteria sarebbe durata giorni interi, che avrebbe avuto moltissime altre funzioni, dall’accesso al proprio conto in banca alla visualizzazione di filmati, dalla connessione via radio con un altro apparecchio alla funzione di agenda, promemoria, sveglia, gioco portatile... Bocca spalancata, sguardo perso nel vuoto, stupore misto a incredulità. Un sogno per l’Italia di allora. Avreste dovuto tenere per ultima la sorpresa: “I telefoni, pardon, i telefonini saranno anche delle macchine fotografiche!” No, questo no! Sarebbe stato troppo per loro abbandonare la reflex meccanica, gli sviluppi della tank, l’ingranditore. Per scattare delle foto con un telefono. Impensabile. Ridicolo.

Oggi ci sembra quasi più normale scattare fotografie con il telefonino piuttosto che con una macchina fotografica vera e propria. La convergenza verso il digitale coinvolge pressoché tutti gli elettrodomestici delle nostre case: frigoriferi che si connettono al Web, lavatrici fuzzy logic, TV che sembrano computer e macchine fotografiche dotate di processori di immagine, chip di tante altre diavolerie elettroniche impensabili già una quindicina d’anni fa.

Eppure, qualsiasi corso di fotografia che si rispetti ci impone un ritorno al passato: si studiano le pellicole, gli obiettivi, i metodi di sviluppo e di stampa, il bianco e nero come disciplina a sé e non come desaturazione di un file a colori. La fotografia consiste in una magica mescolanza di arte e tecnica. Entrambe prescindono dall’informatica in sé poiché occorre conoscere il proprio strumento di lavoro, che non è solo un gadget elettronico. Non contano le prestazioni, specie quando la componente artistica prevale sulla tecnica pura. È difficile imparare a fotografare, forse impossibile in maniera completa, perché il mondo dell’immagine è vasto, infinito, come tutto ciò che possiamo ammirare con i nostri occhi. La stupida sfida dei megapixel, la corsa all’ultimo acquisto, all’aggiornamento della propria attrezzatura fotografica non hanno senso né per la tecnica né in funzione dell’arte fotografica. Apprendere, conoscere, amare la fotografia sono risultato di un lungo cammino, faticoso per chiunque. Una bella foto è il frutto di un della rigida selezione tra una decina di immagini, dopo aver letto e riletto i manuali, dopo aver provato, sbagliato e infine indovinato lo scatto giusto. Magari riprendendo in mano la reflex meccanica di papà, per capire meglio come funzionino quelle attuali.

domenica, giugno 21, 2009

Usato sì, usato no.

Acquistare una fotocamera usata comporta dei vantaggi e degli svantaggi. Il principale beneficio consiste sicuramente in un prezzo allettante. Inoltre, è possibile trovare apparecchi in ottime condizioni, o comunque in uno stato accettabile, se abbiamo la fortuna di incontrare un venditore coscienzioso e che abbia trattato bene l’apparecchio. Esistono dei veri e propri maniaci della pulizia e dell’ordine, che conservano scontrini (anche se la garanzia è scaduta), protezioni di obiettivi e schermi, perfino le confezioni originali. Questa tipologia umana si riconosce fin dall’imballo, curatissimo, composto da decine di pagine di giornale appallottolate che fungono da ammortizzatore alle “cure” postali a cui sarà sottoposto il prezioso contenuto. Già all’apertura del pacco che possiamo fare un’idea della bontà del nostro acquisto.
Ma non sono tutte rose e fiori. In caso di guasto l’apparecchio che rischia di dover essere gettato via, soprattutto le macchine fotografiche di fascia economica, poiché il valore della riparazione spesso supera i tre quarti del prezzo dell’apparecchio nuovo. Occorre anche tenere in considerazione che ormai la fotografia si è imparentata strettamente con l’informatica, per cui oggetti di due anni fa sono da definirsi come “obsoleti” soltanto per il semplice fatto che nel frattempo le fotocamere, e con loro le aspettative degli utenti-consumatori, sono decisamente migliorate. Insomma, la pericolosissima frase “ormai non vale più la pena” è sempre in agguato. Quindi acquistare fotocamere nuove ha ancora senso, specialmente per i due estremi del mercato, le fotocamere più costose e le entry level. Nel primo caso la garanzia di due anni, a volte estensibile a tre o addirittura cinque, ci mette al riparo da spiacevoli sorprese, talora causate più da difetti di fabbrica o da errori progettuali che dalla semplice usura. Anche per l’acquisto di fotocamere sotto i 150 euro è quasi sempre consigliabile rivolgersi allo foto negoziante o, tutt’al più, al negozio on-line. Perché? Immaginate di acquistare un apparecchio di questa fascia di prezzo e di averlo pagato un massimo di 90 euro. Se si guastasse o avesse semplicemente un problema al software, sareste disposti a pagare almeno 40-50 euro per ripararlo? Sommando il costo di riparazione a quello dell’acquisto, avreste una somma pari all’acquisto di un prodotto nuovo e di almeno due anni di garanzia. “Chi non risica non rosica”, è vero, occorre anche un po’ di fortuna. E con un po’ d’astuzia eviterete acquisti poco convenienti.

mercoledì, giugno 17, 2009

Le reflex non reflex


Dopo La Panasonic G1, anche Olympus lancia la sua “reflex no reflex”, la E-P1.
Si tratta dell’uovo di Colombo o dell’ennesima invenzione del marketing?

Innanzitutto vediamo dov’è la sedicente rivoluzione che le due case hanno annunciato, talora pomposamente. Tutte le reflex prodotte finora si sono avvalse di un sistema di visualizzazione dello scatto formato dal pentaprisma a specchio. Le nuove reflex hanno abolito questo spreco di spazio (e di peso) con un semplice schermo LCD. Con buona pace di alti consumi della batteria, il pentaprisma è stato abolito, amputando di fatto un orpello dalle dimensioni e dal peso non indifferenti rispetto all’intero corpo. La qualità di ripresa e di scatto non viene intaccata, se non qualche sforzo visivo per capire se la messa a fuoco è a posto, soprattutto con poca luce.

Quel che lascia perplessi, oltre alla scarsa quantità di obiettivi a disposizione, è il fatto che queste costose fotocamere siano rivolte a un pubblico composto non esattamente da intenditori. Il sensore è il frutto di un compromesso tecnico, una via di mezzo tra una reflex entry-level e una compatta decente. Un po’ poco per competere con una vera reflex. Per non parlare della stravagante scelta dei due costruttori di disegnare un corpo “un po’ rétro”. I product specialist ancora una volta hanno avuto la meglio sugli intenditori di fotografia.

A quando dei sensori più grandi, a partire dalle reflex “vere”?

martedì, giugno 02, 2009

Paparazzi.

Paparazzi era un filmetto girato da Neri parenti con i soliti Boldi e De Sica, ai tempi in cui il loro idillio artistico era ancora ben saldo e una pletora di cammei, da Sgarbi a Fede, da Valeria Mazza a Claudio Lippi. La trama deve aver ispirato l’esistenza di Fabrizio Corona, figlio del più prestigioso e compianto Vittorio, scomparso per sua fortuna prima di vedere il primo arresto del figlio.
Riflettendoci un po’, siamo stati tutti paparazzi almeno una volta nella vita. Basta una qualsiasi cerimonia per scatenare il ditino dei parenti sulla compattina pronta a immortalare attimi indimenticabili. Ora che c’è perfino la possibilità di stampare gli scatti del telefonino, del palmare, della videocamera, praticamente tutta la popolazione vive qualche minuto da paparazzo. Le digitaline entrano in qualsiasi tasca e sono sempre pronte a immortalare qualsiasi istante della propria e dell’altrui esistenza. Vomito di bébé, il cane mentre si libera, la sigaretta dopo il caffè. Ogni gesto è un ottimo pretesto per fissare l’attimo fatidico in una zuppa di bit. Non c’è più limite. Avete presente quei minacciosi cartelli che vietano di scattare fotografie alle vetrine di negozi e centri commerciali? Sono un obsoleto fardello del passato poiché non è possibile vietare oggetti così piccoli e veloci a fissare immagini. Lo sapevate che in Francia è vietato scattare foto nei cimiteri?
Che cos’è, dunque, questa frenesia si mettere a fuoco, quando va bene, e fissare un istante che dovrebbe rimanere così eterno? La fotografia compulsiva come arma contro la morte e l’oblìo?
Chi guarderà i nostri file in futuro? Le stampe eseguite con la getto d’inchiostro di dieci anni fa sono sbavate già ora: che cosa tralasceremo ai nostri nipoti? L’hard disk esterno? La “chiavetta”?

Forse oggi lo scatto fotografico è l’ennesimo gesto ludico e automatico che compiamo con uno qualsiasi dei nostri piccoli gadget elettronici, dal telecomando al telefonino.
Tutto è vano. Ma uno scatto ci seppellirà.

martedì, maggio 19, 2009

Il ritratto fotografico.

Ebbene sì, il termine “ritratto” si utilizza anche in fotografia e ha lo stesso significato che assume in pittura: chi scatta una foto a una persona, ne fa un ritratto, fotografico, ovviamente. Facile a dirsi, ma perché le nostre fotografie non riescono come si vorrebbe?


Occorre innanzitutto premettere che il ritratto possiede dei canoni ben precisi. Una fotografia ben riuscita è un perfetto mix di arte e tecnica e non esiste l'una in assenza dell'altra. Ci sono poi le eccezioni, le deroghe a questa regola, le licenze, come in poesia. Partiamo sempre dai dettami del sonetto per poi semmai sovvertirli e non viceversa. Così anche il fotografo dilettante deve sottostare a delle regole accademiche per poi variarne il tema, pena un risultato finale che racchiude magari una bella espressione, ma sbagliata. Chi non sottosta alla regola dell'oggettività del bello, anche in fotografia, si ostinerà a credere che l'immagine sfocata del pargolo sia comunque bella perché lo emoziona. È come dire che per dipingere un capolavoro basti una tela, un pennello e del colore. Non è proprio così.

Spesso un buon consiglio verte più sulla tecnica che sull'arte, visto che la prima è più semplice da gestire. Per questo i suggerimenti in fotografia sono prevalentemente più tecnici che artistici, perché sono più facili da attuare per tutti.
Cercherò, dal mio canto, di restare vago, perché di libri e siti Web sui trucchi fotografici ce ne sono a migliaia. Quel che manca è spesso il buon senso che dovrebbe pervadere chi mette l'occhio in un mirino. O dietro uno schermo.

1. Una delle prime regole per ottenere una foto decente di un umano è l'analisi del contesto. Mettere in gruppo delle persone è più semplice che coglierne un attimo di spontaneità, ma i risultati saranno completamente opposti. D'altronde, costringere una persona a farsi ritrarre, e prenderla per stanchezza, non darà dei risultati degni di nota. Analizzate la situazione prima d'infliggere la vostra punizione fotografica.

2. Siamo onesti con noi stessi: facciamo un po' schifo a fotografare, ma possiamo migliorare tantissimo, basta solo volerlo. E con qualche trucco dalla nostra, ci salveremo dal pubblico ludibrio per aver postato una foto troppo brutta su Facebook.

3. Ero a una manifestazione e due fidanzatini volevano farsi ritrarre dai genitori di uno di loro: «Àmo, abbiamo il sole alle spalle, mettiamoci alla luce!». Si sono girati in faccia al sole. L'avvenente fanciulla non poteva sapere che i migliori ritratti diurni si fanno in controluce e col flash acceso. Avrebbe anche evitato gli occhi praticamente chiusi di lui. Ma a lei che cosa importava, aveva gli occhialoni neri! Il paziente papà ci ha messo del suo ritraendoli impugnando la fotocamera in orizzontale, quando era evidente che la composizione richiedeva il formato verticale. Ma il poverino doveva avere qualche dolore di schiena, altrimenti si sarebbe inginocchiato per inquadrarli dal basso, come avrebbe dovuto in effetti fare. Con due piccole modifiche, il risultato non sarebbe stato tanto diverso da quello di un professionista. Siete disposti a cambiare?

4. Persone e panorama, una brutta accoppiata. Andate a Pisa, Campo dei Miracoli. Vedrete una folla di cretini in fila con una mano che sembra sorreggere qualcosa. Di fronte a loro, dei pazzoidi che cercano di far collimare attraverso la fotocamera la mano della modella o del modello (si dice così!) con lo sfondo della famosa torre pendente. Il ritratto in genere non deve essere troppo ambientato.
Immaginate un mezzobusto con la torre che è appena accennata su uno sfondo molto sfuocato. Non si direbbe che quella foto sia stata scattata a Pisa? Certo, ma si tratterebbe di uno scatto di classe.
Senza quelle manacce che sorreggono la torre.

5. Foto a raffica, tanto poi si cancella. Il grosso guaio delle digitali consiste nel tasto di cancellazione del file. Una vera tragedia che ci fa scattare centinaia di foto in una sola settimana di vacanza. Quasi un video più che una galleria fotografica. Ma poi pochissimi gestiscono il proprio archivio digitale e non gettano gli avanzi. La selezione delle immagini dovrebbe avvenire all'origine, spesso sarebbe meglio evitare di scattare. O, se si è fatto l'errore, cancellate subito! C'è da dire che gli schermini delle ultime fotocamere mostrano risultati ben più lusinghieri rispetto alla visualizzazione nel monitor, per non parlare del passaggio alla stampa. Cancellate!

6. Iniziate dal gatto. Davvero, è un'esperienza incredibile, sembra che questi animali siano nati per essere in posa. Più di cani, uccelli e rettili, brrr... Mettete a fuoco gli occhi, zoom tutto avanti, luce soffusa (sennò chiude gli occhi e si addormenta) e via! Prendete di mira un gatto con gli occhi azzurri e pelo grigio chiaro o arancione, i risultati saranno stupefacenti.
Mia figlia ama fotografare le sue bambole. Stanno ferme, hanno dei bei colori, non sbuffano né fumano (vd. sotto). Furba, lei!

7. Il fumo fa male. Anche nelle foto, una persona con la sigaretta in mano, ma anche la cicca fumante a un angolo della bocca col fumo che irrita gli occhi, non è il massimo. Evitatela. Meglio la pipa o, con parsimonia, il sigaro.
Tavolate, gente che mangia o che beve col mignolo alzato, bottiglie di birra tracannate a go go. Fanno male anche loro alla fotografia. Lasciamoli perdere, questi momenti non fanno parte degli istanti da ricordare a tutti i costi. Bacco e tabacco esclusi. Non ci resta che Venere. Ma andateci piano!

8. Composizione! Quante volte i genitori d'un tempo a tavola ci richiamavano con un avvertimento perentorio: «Stai composto!» Provate a trattenere a tavola un monello d'oggi per più di dieci minuti e sarete insigniti del premio Genitore dell'anno.
Comporre l'inquadratura, ordinarla, studiarla, è fondamentale. Inginocchiatevi, sempre. Tutti sembreranno più alti e meglio proporzionati. Soprattutto i bambini guadagneranno una testa dalle dimensioni più naturali se eviterete di riprenderli dall'alto. Guardate bene nel mirino, c'è tutto? Testa, piedi? Spesso il dilettante inquadra persone e animali ponendo la testa al centro del fotogramma, tagliando via piedi, ginocchia e, talvolta – ahi! – anche le parti intime. E il cielo che sovrasta la testa fornisce alla persona ritratta un'aria vagamente fantozziana. Godiamo del progresso, ora le fotocamere permettono la visualizzazione dell'effettivo fotogramma, quasi al 100%. Quel quasi ci obbliga a tenerci larghi, evitando di porre i piedi proprio sul bordo inferiore del fotogramma. I maledetti crop sono sempre in agguato, dal mirino (o schermo posteriore) al servizio di stampa. Chi è abituato alla pellicola lo sa bene e il digitale sembra non fare eccezione. Concludendo, siate composti, anche in fotografia. I nostri genitori avevano ragione.

9. I megapixel non sono tutto nella vita, neanche in quella del vostro apparecchio fotografico. Non vi fate ingannare dalle sirene del marketing con dati tecnici insignificanti al fine di ottenere una foto decente, che è il nostro obiettivo minimo. Non è certo la quantità di informazioni a fare la differenza sulla qualità delle stesse. Megapixel e altro sono prettamente questioni di lana caprina, per gente scafata che acquista apparecchi da 5000 euro e deve giustificare la propria coscienza, non certo alla nostra portata di aspiranti fotoamatori che vogliono aumentare la percentuale di foto decenti sul totale degli scatti. La tecnica è necessaria nella fotografia. La tecnologia, soprattutto nel nostro caso, non ci serve poi così tanto.

10. Un bel libro di fotografia. Sì, ma quale?
Vi stupirò, tutti i libri sono buoni, perfino quelli di trent'anni fa che vi descrivono il percorso della pellicola nel corpo della reflex. Vanno davvero bene tutti. Dalla digitale for dummies alla guida avanzata al fotoritocco. Andate su un qualsiasi motore di ricerca o negozio on-line, digitate «digital photography manual», o il corrispondente in italiano, e verrete invasi di... carta. Libri, manuali, tutorial, c'è di tutto. Andate a dare un'occhiata sul sito italiano di Canon, ci sono quattro opuscoli da scaricare, gratis, consigli e trucchi molto semplici da porre in atto. Sono davvero ben fatti. Sarebbero dedicati ai possessori di apparecchi del proprio marchio. Ma, potete giurarci, funzioneranno anche con fotocamere di altri produttori. Esistono perfino libri dedicati a un certo modello di fotocamera, cssomai non vi bastasse il corposo manuale delle istruzioni.
I testi super-classici sull'argomento sono senz'altro quelli di Scott Kelby, che ha scritto una collana sui trucchi per migliorarsi. Se passate da NYC o Londra e siete a vostro agio con la lingua di Albione troverete senz'altro il primo volume a un prezzo interessante. Feltrinelli e FNAC in Italia vi regalano la spedizione – a oggi –e vi offrono uno sconto se acquistate on-line. Il mio suggerimento: andate prima in libreria e poi decidete quale e dove acquistare.

Insomma, dietro al mirino o allo schermo della vostra digitale non prendetevi troppo sul serio, imparate dagli errori, cercate mi miglioravi. E, soprattutto, divertitevi.
Le soddisfazioni saranno maggiori di quanto non possiate credere.

mercoledì, maggio 13, 2009

Il senso della pellicola.

In piena e matura era del digitale fotografico, ci si chiederà che senso abbia ancora l’esistenza delle pellicole per fotografare.
Purtroppo, non sempre il progresso ha migliorato qualitativamente le nostre attività quotidiane. E non è accaduto – e in parte non accade tuttora – nel campo fotografico.

I primi apparecchi digitali avevano risoluzioni molto basse, da 1 a 4 megapixel, sensori con molti problemi tecnici e, soprattutto, prezzi non propriamente accessibili. Anche le funzioni e le caratteristiche di contorno non aiutavano certo: schermi piccolissimi, forte consumo di batterie, scarsa capacità delle memorie, tempi di accensione e scatto inaccettabili, solo per citarne alcune. Una delle prime reflex aveva 3 megapixel e un sensore che s’impolverava spesso e volentieri.
Per non parlare della qualità finale in fase di stampa. Chiunque allora abbia sostituito la propria attrezzatura a pellicola con la digitale aveva fatto male i calcoli. Soltanto da un paio d’anni a questa parte alcune digitali sono diventate un acquisto interessante. Ma non sono un bene durevole. Un po’ perché prevale la logica della sostituzione ogni due o tre anni. Ma anche per il fatto che il marketing delle maggiori aziende suggerisce il rilascio graduale delle innovazioni in questo campo, proprio per aumentare il ricambio tra apparecchi ’vecchi’ e i modelli nuovi. Insomma, da bene duraturo la macchina fotografica, che ora peraltro si chiama ’fotocamera’, è diventato un puro esempio di consumismo che non conosce crisi. Non s’investe più nella reflex, ma si svende il vecchio modello per rincorrere quello nuovo, un po’ come accade per il computer. Che però esprime già il massimo della tecnologia al momento dell’acquisto. La fotocamera no. Esistono da anni i sensori full frame, ovvero della stessa grandezza delle pellicole fotografiche di piccolo formato. Eppure i sensori della maggior parte delle reflex in commercio sono grandi la metà. Perché mai? Si tratta di un tema che merita un post a sé.

La pellicola ha quindi buon gioco in termini di qualità rispetto a tutti gli apparecchi che non abbiano almeno un sensore della stessa grandezza. Per un motivo di pura fisica. Inoltre, i cristalli
foto-sensibili che compongono gli strati del film hanno una forma più irregolare rispetto ai pixel, per cui la granulosità del film risulta essere più naturale ai nostri occhi, come tutte le cose asimmetriche del creato.
Spesso le lenti utilizzate con le reflex a pellicola hanno una qualità nettamente superiore agli zoom economici dei kit reflex, per non parlare delle compatte. Pochi riflessi interni, nessun bordo blu o
rosa contorna gli oggetti molto contrastati raffigurati un uno scatto. L’incarnato, grande rogna per i sensori CCD e CMOS, viene invece riprodotto fedelmente dalle pellicole da ritratto. Eppure c’è chi è pronto a giurare che con l’ultima digitale di grido, specie se piccolissima e dall’obiettivo a forma di fessura, le foto siano ’migliori’ rispetto a quelle a pellicola.

Guardandomi in giro mi chiedo se chi fotografa in digitale abbia poi la pazienza di aprire i file RAW, sempre che abbia la possibilità di farlo, ritoccarli, aggiustarli e ottimizzarli; se la schedina di
memoria non sia l’unico sistema di salvataggio delle immagini, ma se si sia pensato a due o più sistemi di storage per contenere le foto; se si stampi in proprio, spendendo più in cartucce rispetto a una stampa professionale, e se i monitor siano tarati con i profili colore delle stampanti; se si archivino le proprie immagini, scartando quelle inutili e se è facile ritrovarle senza averne mai persa una. Molto probabilmente la maggior parte degli acquirenti di fotocamere digitali, specie se compatte, hanno comprato esclusivamente il desiderio di poter rivedere i propri scatti, non necessariamente al PC, e di stampare alla bell’e meglio qualcosa di loro gradimento. A loro la digitale non ha aumentato la qualità di produzione delle loro immagini, ma ha regalato un oggetto che è una sorta di magico giocattolo.

Tra i fan della pellicola esistono gli estremisti: la pellicola è più ’poetica’, ha un suo ’fascino’ ed è maledettamente rétro. Queste convinzioni non giovano molto alla causa per la sopravvivenza di
questo che è solo uno dei modi di fotografare. È vero che il cinema la tiene viva, così come le applicazioni a infrarossi, i banchi ottici, qualche medio formato, gli obiettivi decentrabili, il bianco e nero, le usa e getta… La pellicola ha dei valori in sé che non sono l’anti-progresso o quel po’ d’artigianato che pure occorre per maneggiarla. Ma la resa, come già detto, superiore nella maggior parte dei casi, ai micro-sensori digitali. Senza la noia di doversi dotare di sistemi anti-polvere, archivi e back-up, senza passare ore a ritoccare. E con la massima libertà d’espressione, a qualsiasi sensibilità ISO, ad esempio. Per gli amanti del medio e grande formato il passaggio al digitale sarebbe alquanto oneroso, piuttosto cambiano sistema. Come i fotografi di cerimonie, che hanno abbandonato ormai del tutto i costi e difficoltà del medio formato a pellicola, per passare a reflex professionali o quasi, ovviamente di piccolo formato.
La questione nasconde parecchi aspetti e ciascuno saprà valutare il meglio per sé.

Concludendo, la pellicola ha tuttora un senso, innanzitutto per tutti coloro che vogliono apprendere le basi della fotografia. Ma anche per quelli che «io scatto e stampo».
Sembrerà un paradosso, ma si tratta di due estremi che riescono a… toccarsi. Grazie al rullino!

lunedì, maggio 11, 2009

Le fotocamere bridge.

Fateci caso, ci sono tre modi per acquistare un bene, specie se si tratta di una macchina fotografica digitale. La maggior parte delle persone entra in un negozio, guarda il prodotto, lo rigira tra le mani e, fidandosi del commesso, l’acquista.

C’è poi chi preferisce andare on-line, impazzire tra recensioni, tradurre siti Web, per lo più in un inglese dai doppi sensi non troppo facili da comprendere, scartabellando tabelle, grafici e foto d’esempio. Alla fine acquista, per poi pentirsi il giorno dopo, quando scopre nella sua casella e-mail l’offerta sottocosto dell’ennesimo store virtuale.

Infine ci sono le donne. Loro acquistano qualsiasi cosa che sia una macchina soppesando innanzitutto l’estetica e la consistenza dell’oggetto del desiderio. Tra una reflex ‘seria’ e una super-compatta stylish, la scelta ricadrà senz’altro su quest’ultima. Perché è più pratica, leggera, facile da utilizzare. Questi modelli sono plasmati direttamente da centinaia di ore di focus group composti per lo più da venti-quarantenni rigorosamente a digiuno di fotografia, riunite in tante stanze uguali tutto il globo, ad abbozzare l’apparecchio perfetto. Non si spiegherebbe altrimenti l’esistenza di marchi che con la fotografia non hanno mai avuto a che fare ma che, guarda caso, sono dei temibili concorrenti delle Sette Sorelle della fotografia.

Passata la prima ondata di acquisti quantomeno impulsivi degli anni scorsi, le giovani hanno in animo di cambiare modello, perché quello schermino da un solo pollice è out. Per non parlare dei megapixel, manco fossero le taglie del reggiseno ideale che ogni donna sogna. Inutile parlare di sensori, di pregi e difetti della tecnologia alla base del CMOS rispetto a quella del CCD. Queste sono cose da maschi, anzi da nerd. Una donna vuole far bella figura con l’oggetto del desiderio. Deve innanzitutto far parlare di sé, meglio se si abbina con la borsetta rosa. Qualcuna di loro, però, specie le fidanzate, quelle che tirano per il braccio il proprio lui all’IKEA urlando: «Amò, guarda quella sedia, dobbiamo prenderla. Costa poco!», quella tipologia di donna manager della vita in comune sceglie effettivamente l’apparecchio da acquistare. O da sostituire perché ormai obsoleto. E media. Tra una reflex, legittima aspirazione dell’italiano medio che ‘vuole fare delle belle foto’ e la compattina che neanche riesce a impugnare, ecco le bridge, le fotocamera-ponte che unisce lei a lui, il compromesso, l’anello mancante tra la compatta e la reflex. Bellina, ma non grossa, sembra una reflex, ma non lo è. Scatta meglio delle ‘piccoline’, ha più funzioni ed è maledettamente cool. Costa, ma non abbastanza da impedirne l’acquisto, foss’anche a rate. Lei l’adora. Lui guarda con diffidenza l’oggetto, esplora un po’ i menu, ma poi l’abbandona schifato sul tavolo perché ‘è da gay’.

Ed ecco orde di compagne che guidano estenuanti tour sotto il solleone con panzoni sudati al loro fianco, costringendoli a improbabili pose, ripetendo gli scatti a raffica, mettendo a dura prova il potente, si fa per dire, motorino delle bridge. E pazienza se i risultati non sono proprio quelli promessi dalla brochure.

La fotografia non è solo arte. Soprattutto se si usa la bridge.